venerdì 30 settembre 2016

FRANTZ




































“Siamo noi i veri responsabili delle morti dei nostri figli” afferma il sig. Hoffmeister (Ernst Stotzner) l’anziano medico del paese, padre di Frantz, di fronte ai suoi amici e conoscenti che gli avevano rifiutato un giro di birra perché responsabile di avere ricevuto in casa un giovane francese.
 “ Siamo noi che li abbiamo mandati al fronte e che poi abbiamo brindato con boccali di birra, festeggiando la morte di migliaia di giovani francesi; mentre, a loro volta, i padri francesi festeggiavano la morte di migliaia di giovani tedeschi, bevendo bicchieri di vino”.
 Questo sentimento di distacco dalla guerra, dal nazionalismo che la genera, viene poi di nuovo rappresentato quando, nel secondo tempo, sarà la giovane tedesca Anna, in viaggio in Francia, a sentire l’ostilità contro i tedeschi, ancora presente a guerra finita, in un canto della “ Marsigliese” in cui l’orgoglio nazionale coinvolge, uno dopo l’altro, tutti gli avventori di un bar- café dove lei si trova.
 La scena ricorda quella celebre di “ Casablanca”; ma, a differenza di quella, non suscita nello spettatore la solidarietà per l’orgoglio di un popolo ferito dalla dominazione tedesca.
 Al contrario, quasi disturba quell’esibizione di nazionalismo che aveva coinvolto migliaia di vite in un percorso di guerra senza ritorno.
In questo, la fredda descrizione in bianco e nero di una Germania e di una Francia del 1919, uscite piene di dolore personale dal primo conflitto mondiale, non ci risulta datato e/o privo d’interesse; anzi, ci fa riflettere sulle conseguenze, sempre in agguato, di un nazionalismo contro di cui, sembra a volte invano, si mobilitarono, ad esempio, i fondatori del progetto Europeo nel secondo dopoguerra e che, comunque, affligge anche i nostri giorni.
Francois Ozon, affermato regista francese nato a Parigi nel 1967, non ha partecipato, né ha visto con i propri occhi le manifestazioni pacifiste che scossero in quegli anni l’America e l’Europa, portando avanti l’idea di un mondo più nuovo, basato sulla fratellanza; ma, vede oggi molti parallelismi con il mondo che racconta nel suo film.
 Il risorgere del nazionalismo, la richiesta del ripristino e della difesa delle frontiere con i discussi “ muri”, che anche in Francia si fa sempre più attuale, dà la sensazione che il passato possa ritornare.
Ma non è questo il solo tema di cui parla il film “Frantz”, presentato alla 73° mostra di Venezia dove ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica.
Ozon,  in questo film,  ripropone la trasposizione di un testo teatrale di Maurice Rostand del 1930, ”L'homme que j'ai tué”, già portato sullo schermo da Ernst Lubitsch. All’interno del clima sociale descritto, egli scava, invece, nel particolare  del sentimento personale. Affronta, pertanto, il senso di colpa di chi ha ucciso perché inevitabilmente in guerra si è trovato davanti alla  scelta impossibile tra la vita e la morte, quello più indefinito di chi non sa o non vuole riprendere  il senso della propria vita  per paura  ed il rimorso di abbandonare  la fedeltà a chi è morto. Sarà il perdono e forse quello strano miscuglio irrazionale fra verità e menzogna a fornire gli strumenti e la strada per superare il senso di colpa e ritornare alla vita.
Sarà comunque il perdono l’unica strada possibile per giustificare e superare anche la menzogna e riconsegnare al colore dell’inquadratura, alla nuova vita, Anna, la giovane donna fidanzata del povero Frantz, mentre paradossalmente ammira, all’interno delle sale del Louvre insieme con un giovane sconosciuto, un dipinto di Manet intitolato “ Le suicidé”.
Quel quadro le fa desiderare” la voglia di vivere”, così come aveva compreso dopo il suo tentato suicidio.
Sarà ancora il perdono a farle capire che non può esservi soluzione alla perdita  di un amore con una sua finta sostituzione riparatrice.
 Il viaggio di Anna in Francia sarà, sotto quest’aspetto, chiarificatore.
 La vita tornerà a colori solo perdonando  il male  e ritornando a guardare avanti con nuova fiducia e disponibilità. Ozon ha scelto di raccontare il dolore di quel periodo storico  in bianco e nero così come  è anche forse la nostra memoria. Il colore è stato scelto,  invece,  per indicare la vita presente sia nei flashback, sia in  particolari inquadrature ambientali, sia nella scena finale.
Bella l’interpretazione dei due protagonisti: Adrien e Anna.

Adrien è Pierre Niney, talento in ascesa del cinema francese, vincitore due anni fa del premio César come miglior attore nel ruolo di  Yves Saint-Laurent. Anna  è interpretata dalla giovanissima attrice tedesca  Paula Beer  che ha saputo dare forza e sensibilità, con grande senso della misura, a quest’importante personaggio.  

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