“Siamo noi i veri responsabili delle
morti dei nostri figli” afferma il sig. Hoffmeister
(Ernst Stotzner) l’anziano medico del paese, padre di Frantz, di fronte ai
suoi amici e conoscenti che gli avevano rifiutato un giro di birra perché responsabile
di avere ricevuto in casa un giovane francese.
“ Siamo noi che li abbiamo mandati al fronte e che poi abbiamo
brindato con boccali di birra, festeggiando la morte di migliaia di giovani
francesi; mentre, a loro volta, i padri francesi festeggiavano la morte di
migliaia di giovani tedeschi, bevendo bicchieri di vino”.
Questo sentimento di distacco dalla guerra, dal nazionalismo che
la genera, viene poi di nuovo rappresentato quando, nel secondo tempo, sarà la
giovane tedesca Anna, in viaggio in Francia, a sentire l’ostilità contro i
tedeschi, ancora presente a guerra finita, in un canto della “ Marsigliese” in
cui l’orgoglio nazionale coinvolge, uno dopo l’altro, tutti gli avventori di un
bar- café dove lei si trova.
La scena ricorda quella celebre di “ Casablanca”; ma, a differenza
di quella, non suscita nello spettatore la solidarietà per l’orgoglio di un
popolo ferito dalla dominazione tedesca.
Al contrario, quasi disturba quell’esibizione di nazionalismo che
aveva coinvolto migliaia di vite in un percorso di guerra senza ritorno.
In questo, la fredda descrizione in
bianco e nero di una Germania e di una Francia del 1919, uscite piene di dolore
personale dal primo conflitto mondiale, non ci risulta datato e/o privo
d’interesse; anzi, ci fa riflettere sulle conseguenze, sempre in agguato, di un
nazionalismo contro di cui, sembra a volte invano, si mobilitarono, ad esempio,
i fondatori del progetto Europeo nel secondo dopoguerra e che, comunque,
affligge anche i nostri giorni.
Francois Ozon, affermato regista
francese nato a Parigi nel 1967, non ha partecipato, né ha visto con i propri
occhi le manifestazioni pacifiste che scossero in quegli anni l’America e
l’Europa, portando avanti l’idea di un mondo più nuovo, basato sulla fratellanza;
ma, vede oggi molti parallelismi con il mondo che racconta nel suo film.
Il risorgere del nazionalismo, la richiesta del ripristino e della
difesa delle frontiere con i discussi “ muri”, che anche in Francia si fa
sempre più attuale, dà la sensazione che il passato possa ritornare.
Ma non è questo il solo tema di cui
parla il film “Frantz”, presentato alla 73° mostra di Venezia dove ha riscosso
un buon successo di pubblico e di critica.
Ozon,
in questo film, ripropone la
trasposizione di un testo teatrale di Maurice Rostand
del 1930, ”L'homme que
j'ai tué”, già portato sullo schermo da Ernst Lubitsch. All’interno
del clima sociale descritto, egli scava, invece, nel particolare del sentimento personale. Affronta,
pertanto, il senso di colpa di chi ha ucciso perché inevitabilmente in guerra
si è trovato davanti alla scelta
impossibile tra la vita e la morte, quello più indefinito di chi non sa o non
vuole riprendere il senso della propria
vita per paura ed il rimorso di abbandonare la fedeltà a chi è morto. Sarà il perdono e
forse quello strano miscuglio irrazionale fra verità e menzogna a fornire gli
strumenti e la strada per superare il senso di colpa e ritornare alla vita.
Sarà comunque il
perdono l’unica strada possibile per giustificare e superare anche la menzogna
e riconsegnare al colore dell’inquadratura, alla nuova vita, Anna, la giovane
donna fidanzata del povero Frantz, mentre paradossalmente ammira, all’interno
delle sale del Louvre insieme con un giovane sconosciuto, un dipinto di Manet
intitolato “ Le suicidé”.
Quel quadro le fa desiderare”
la voglia di vivere”, così come aveva compreso dopo il suo tentato suicidio.
Sarà
ancora il perdono a farle capire che non può esservi soluzione alla
perdita di un amore con una sua finta
sostituzione riparatrice.
Il viaggio di Anna in Francia sarà, sotto
quest’aspetto, chiarificatore.
La vita tornerà a colori solo perdonando il male
e ritornando a guardare avanti con nuova fiducia e disponibilità. Ozon
ha scelto di raccontare il dolore di quel periodo storico in bianco e nero così come è anche forse la nostra memoria. Il colore è
stato scelto, invece, per indicare la vita presente sia nei flashback, sia in
particolari inquadrature ambientali, sia nella scena finale.
Bella l’interpretazione dei due protagonisti: Adrien e Anna.
Adrien è Pierre Niney, talento in ascesa del
cinema francese, vincitore due anni fa del premio César come miglior attore nel
ruolo di Yves Saint-Laurent. Anna è interpretata dalla giovanissima attrice
tedesca Paula
Beer che ha saputo dare forza e
sensibilità, con grande senso della misura, a quest’importante
personaggio.
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